
Lasciare andare lo stress, è scegliere la vita
Essere un project manager informatico è come essere il capitano di una nave. Hai una rotta, un equipaggio e devi navigare attraverso le tempeste. Parlo di quelle che fanno salire la pressione, quelle che ti danno l'impressione che tutto stia per affondare: lo stress. Per anni l'ho subìto e continuo a combatterlo. Purtroppo non ho una formula magica da darti, solo alcuni spunti di riflessione, frutto della mia esperienza di vita.
La realtà sul campo: da dove viene questo stress?
Ricordo il mio primo grande progetto. Un cliente frettoloso, un budget limitato e un team con un alto tasso di turnover. Ogni giorno era una corsa. Avevo la sensazione di portare il peso del mondo sulle mie spalle. Lo stress non veniva da una sola cosa, ma da un cocktail esplosivo:
- Scadenze irrealistiche: mi veniva chiesto di consegnare in sei mesi un lavoro che ne avrebbe richiesti nove. Ero talmente ossessionato dalla pianificazione che non vedevo più i segnali d'allarme.
- La "nebulosità artistica": il cliente sapeva cosa non voleva, ma faceva fatica a esprimere ciò che voleva veramente. Questa incertezza mi faceva impazzire, non sapevo mai se stessimo andando nella giusta direzione.
- Le tensioni con un key user: erano dovute alla sua resistenza al cambiamento, e la tensione si è propagata a tutto il team. Invece di capire e anticipare, ho lasciato che la situazione si aggravasse, creando attriti inutili.
Tutto questo era la mia visione del progetto. Ero troppo concentrato sul risultato finale e non abbastanza sul processo e sulle persone. Ho capito che lo stress non sarebbe scomparso, ma che potevo cambiare il mio modo di affrontarlo.
Chirurgia e gestione dello stress: un parallelo inaspettato
A un certo punto della mia carriera, mi sono posto una domanda: come fa un chirurgo a rimanere calmo durante un'operazione, quando ha una vita tra le mani? Ho cercato di capire le ragioni di questa apparente tranquillità. Non si tratta di un superpotere o di indifferenza, ma di un processo rigoroso e di autocontrollo.
I chirurghi affrontano un'enorme pressione. Non possono permettersi di farsi prendere dal panico. Ciò è dovuto a una combinazione di fattori:
- L'allenamento: anni di formazione e pratica in sala operatoria hanno reso ogni gesto un automatismo. La ripetizione e l'esperienza riducono notevolmente l'incertezza e la paura dell'ignoto. Nella gestione dei progetti, è la stessa cosa. Solo l'esperienza e la quantità di progetti gestiti ti permettono di allenarti. Ogni progetto è una nuova opportunità per mettere alla prova le tue competenze, imparare dai tuoi errori e sviluppare riflessi.
- Il processo: seguono procedure chiare e ben definite. Ogni fase è preparata meticolosamente. In caso di imprevisto, viene attivato un protocollo preciso. Non c'è spazio per l'improvvisazione o l'emozione. Nel nostro mestiere, dobbiamo fare affidamento sui processi di gestione dei progetti stabiliti dall'azienda e persino perfezionarli. Rituali ben consolidati, come riunioni quotidiane (stand up meeting) o revisioni degli sprint, danno struttura e riducono la sensazione di caos.
- La focalizzazione: un chirurgo si concentra su una sola cosa alla volta. È assorbito dal suo compito e lascia da parte le distrazioni. L'obiettivo unico e chiaro riduce il carico mentale. Per il project manager, questo significa concentrarsi sui compiti, uno per uno, senza farsi sopraffare dalla visione d'insieme del progetto. Suddividere il lavoro in piccole fasi realizzabili aiuta a rimanere concentrati sul presente e a non sentirsi schiacciati dalla portata del compito.
Questo parallelo mi ha aperto gli occhi. Se un chirurgo può astrarsi dalla pressione concentrandosi su ciò che sa fare, perché non un project manager?
Lo stress: uno stato che ci infliggiamo da soli
Nel corso del mio percorso, ho capito una cosa fondamentale: lo stress è spesso una percezione. Non viene dall'esterno, ma dal modo in cui interpretiamo gli eventi. In altre parole, non è il progetto a essere stressante, ma la nostra reazione all'incertezza e alle difficoltà.
Ricordo una situazione in cui un bug critico è apparso poco prima del lancio. La prima volta che è successo, sono andato nel panico. Il mio cuore ha iniziato a battere forte, le mie mani erano sudate e ho iniziato a immaginare il disastro: un cliente arrabbiato, un progetto fallito, un fallimento personale. È stato allora che ho capito che mi stavo creando lo stress da solo, proiettandomi nello scenario peggiore possibile.
Ho imparato a prendere le distanze. In quei momenti, mi faccio due semplici domande:
- Cosa posso controllare? Non posso far sparire il bug con un colpo di bacchetta magica, ma posso mettere in atto un piano d'azione per risolverlo.
- Qual è la cosa peggiore che potrebbe davvero accadere? La risposta è quasi sempre meno drammatica di quanto immaginiamo. Un bug può essere corretto. Una scadenza può essere negoziata.
Obiettivando la situazione, ti rendi conto che le montagne non sono altro che colline. Smetti di subire e inizi ad agire. Questo cambio di prospettiva è stato per me il più grande alleato nella gestione dello stress.
Le mie soluzioni antistress
Dopo aver toccato il fondo, ho iniziato a mettere in pratica nuove abitudini per andare avanti.
Pianificare, ma senza essere rigido
Ho imparato a respirare. Oggi, non mi butto più a capofitto in un progetto. Uso la metodologia agile per suddividere il lavoro in brevi sprint. Invece di vedere l'Everest, mi concentro sulla prossima colline da scalare. La vittoria di ogni piccolo sprint è una boccata d'ossigeno. È come quando corri una maratona: non pensi al traguardo, ti concentri sui prossimi 500 metri.
La delega, la mia nuova religione
Ho la tendenza a fare tutto da solo, è un modo per controllare i risultati, ma che costa caro in termini di tempo, carico di lavoro ed energia. Sto ancora imparando a fidarmi, a responsabilizzare i membri del team in modo che possano dare un contributo personale al progetto. Accetto più facilmente punti di vista diversi dai miei, purché siano motivati e costruttivi per l'avanzamento del progetto. Ho capito che il mio ruolo non è essere un "supereroe", ma un facilitatore.
Dire di no, senza rimorsi
Mio nonno diceva sempre: "Chi troppo vuole nulla stringe". Mi ci è voluto del tempo per capire il senso di questa frase. Accettavo tutte le richieste del cliente, anche le più stravaganti. Oggi, rispondo con calma: "È un'ottima idea, ma non rientra nell'ambito del progetto. Possiamo aggiungerla a una versione successiva o valutare l'impatto sulla pianificazione". Ponendo dei limiti, ho guadagnato credibilità e mi sono risparmiato parecchi problemi.
Trovare un modo per scaricare la tensione
Ho conosciuto una persona che, per rafforzarsi, cercava situazioni stressanti al di fuori del lavoro, come sport estremi. Pensava che abituarsi all'adrenalina l'avrebbe reso più efficiente in ufficio. Ma non è la soluzione. Il cervello è un muscolo che non può rimanere teso continuamente. Questo approccio ha funzionato per un po', ma è un acceleratore diretto verso il burnout. È fondamentale trovare un'attività per liberare la mente. Per me, la cucina ha sempre avuto un posto speciale. Preparare un piatto complesso mi costringe a concentrarmi su qualcos'altro, a essere nel momento presente. Ultimamente, il giardinaggio mi fa un gran bene. È un modo per riconnettermi al concreto, lontano da righe di codice e dashboard. Qualunque cosa tu scelga, l'importante è concederti questo momento, per disconnetterti e riconnetterti meglio.
Lo stress non è il nemico
Lo stress è un allarme, un segnale che qualcosa non va. È un po' come la spia rossa sul cruscotto di un'auto. Non bisogna ignorarlo, ma al contrario, ascoltarlo. Cambiando la mia percezione dello stress, l'ho trasformato da fonte di sofferenza in un motore di performance. Oggi so di poter affrontare qualsiasi tempesta, perché ho imparato a navigare. E questo non ha prezzo.